di Dario Ferrara Corte Costituzionale |
Nei licenziamenti economici scatta la reintegra anche se l’insussistenza del fatto non è manifesta Contano effettività e genuinità della scelta imprenditoriale: troppo indeterminato l’ulteriore requisito della Fornero che rallenta le cause, determinando incertezze applicative e disparità GIOVEDI’ 19 MAGGIO 2022 |
A far scattare la reintegra del lavoratore nei licenziamenti economici è sufficiente che il fatto posto alla base del provvedimento non sussista, mentre non serve che l’insussistenza sia anche manifesta. E ciò perché al fatto si deve «ricondurre ciò che attiene all’effettività e alla genuinità della scelta imprenditoriale», mentre risulta troppo indeterminato l’ulteriore requisito introdotto dalla legge Fornero all’articolo 18, comma settimo, secondo periodo, dello statuto dei lavoratori: determina incertezze applicative, e dunque disparità di trattamento, oltre ad allungare i tempi delle cause. È quanto emerge dalla sentenza 125/22, pubblicata il 19 maggio dalla Consulta, che dichiara l’illegittimità della disposizione limitatamente alla parola «manifesta». Questione annosa Trova ingresso la questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Ravenna, chiamato a decidere sull’opposizione del datore di lavoro contro l’ordinanza che ha reintegrato un lavoratore, licenziato «tre volte nel giro di alcuni mesi, una per giustificato motivo oggettivo, le altre due per giusta causa». Anzitutto la sussistenza di un fatto è nozione difficile da graduare, perché evoca «un’alternativa netta, che l’accertamento del giudice è chiamato a sciogliere in termini positivi o negativi». Su questi aspetti il giudice è chiamato a svolgere una valutazione di mera legittimità che non può «sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità» (sentenza 59/2021). E in effetti negli ultimi dieci anni la giurisprudenza di legittimità è stata costretta a occuparsi molto della questione. Criterio eccentrico Il criterio della manifesta insussistenza, poi, «risulta eccentrico nell’apparato dei rimedi, usualmente incentrato sulla diversa gravità dei vizi e non su una contingenza accidentale, legata alla linearità e alla celerità dell’accertamento». Troppo articolato il quadro probatorio che ne risulta: oltre ad accertare la sussistenza o insussistenza di un fatto – che è già di per sé un’operazione complessa – le parti, e con esse il giudice, si devono impegnare «nell’ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza». Insomma: è un «aggravio irragionevole e sproporzionato» sull’andamento del processo. Sussiste quindi uno squilibrio tra i fini che il legislatore si era prefisso e i mezzi adottati per raggiungerli: l’obiettivo, infatti, era una più equa distribuzione delle tutele attraverso decisioni più rapide e più facilmente prevedibili. Dario Ferrara |